di Anentodio Friulzi detto Flacca
Le valutazioni espresse da Myr (cfr: Myrddin Emrys, Carnival Outrage "posfazione")riguardo l'epilogo e l'enunciato "fine" (che si collocano in un punto qualunque della saga carniana, e cioè nell'ultimo capitolo), lasciano intendere che lo stesso Myrddin affronta la questione con un approccio teoretico, ovvero presupponendo che ruoli, compiti e impostazioni canoniche del romanzo in oggetto vengano alla fine rispettati. Stupisce questo atteggiamento, e il primo motivo è che un'epistemologia di carattere teoretico venga proprio da Myrddin, il quale non ha esitato più volte ad uscire di casa e ad avventurarsi nei meandri della narrazione, non dispensando la sua presenza in molti dei livelli topologicamente babelici della vicenda di Carne. Il suo rammarico e le scuse ai lettori sono solo un prevedibile effetto di questo approccio? Così parrebbe, ma noi siamo più propensi a pensare ad un'ennesima menzogna del più gaglioffo e infido scrittore del nuovo secolo, il quale statutariamente si è fatto beffe non soltanto dei lettori ma anche degli editori e dello stesso Marlowe, coinvolto da lui personalmente nella vicenda con un compito che solo ai più ingenui è potuto apparire come unh tentativo di soluzione dell'ingarbugliata narrazione (a questo proposito ricordio a Myr che dovrà corrispondere il 50% degli onorari del signor Marlowe, + il 24% della restante cifra, essendo stata sua la decisione di ingaggiarlo).
Sorprende altresì, perché Myrddin si è sempre fatto promotore di approcci sistemici, il cui propellente pragmatico e fattivamente adattativo ("dimenticare le regole della nostra formazione per accettare quello che siamo divenuti, nel mondo al quale siamo giunti. C'è chi ce la fa, dimenticando i fantasmi del passato, e che è pronto a sopportare il pensiero che la nostra società stia per finire. Senza traumi, perché il discorso è il solito: una vita è lunga una vita, e alternative ad una vita in un determinato momento non ce ne sono") sono stati determinanti in tutto lo sviluppo di Carne e derivati, legittimando incongruenze, fornendo un costante contributo euristico al racconto e in definitiva emancipando Carne e la sua storia dal rischio di una banalizzazione (appunto teoretica), che le povere energie di Klaus non avrebbero potuto evitare.
Sorprende infine il presunto rammarico, di fronte ad inequivocabili segni di cedimento e trasparenti intenzioni di voler desertificare il campo della vicenda (una serie di omicidi ingiustificati, ma soprattutto il fatidico "dormiamoci su", inaccettabile da un mago, che proprio nell'area tra sonno e veglia agisce e conduce gli sparuti ma tenaci lettori).
lunedì 27 luglio 2009
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